di Lorenzo Infantino, dalla Prefazione de "L'Azione Umana" di Ludwig von Mises, pag.15-18
Platone ha sostenuto che "non c'è nulla di più pericoloso del mutamento".
Comte ha visto nella società basata sulla libertà individuale di scelta la "completa anarchia".
Marx ha giudicato insopportabile il continuo mutamento, perché impedisce l'orientamento normativo, non permette di sapere "quale parte sia la destra e quale parte sia la sinistra".
I collettivisti aspirano sempre a un regno della quiete, in cui sia assente il problema dell'incertezza.
È la stessa tentazione alla quale soggiace lo psicologismo utilitaristico.
John Stuart Mill ha giudicato lo "stato stazionario" come la condizione migliore per la natura umana, "quella per cui, mentre nessuno è povero, nessuno desidera diventare più ricco, né deve temere di essere respinto indietro dagli sforzi compiuti dagli altri per avanzare".
Alfred Marshall ha auspicato un mondo di uomini "perfettamente virtuosi", senza concorrenza, proprietà privata e ogni forma di diritto privato, in cui nessuno possa desiderare di avere "una quota maggiore degli agi e dei lussi della vita del suo vicino".
John Maynard Keynes ha ritenuto possibile la "beatitudine economica", un mondo privo del problema della scarsità.
Il collettivismo e l'utilitarismo in senso stretto alimentano spesso le stesse illusioni.
Fin da Platone, ai collettivisti non ha fatto difetto la conoscenza degli strumenti attraverso cui mettere sotto controllo la libertà individuale di scelta e il mutamento.
Gli utilitaristi ne sono stati meno consapevoli.
John Stuart Mill ha dichiarato: "non credendo all'egoismo universale, non ho difficoltà a riconoscere che il comunismo sia sin da ora applicabile tra l'elite del genere umano e che lo possa diventare anche per il resto".
Per certi versi, si tratta di un'affermazione dotata di una certa attrattiva.
Ma in essa non c'è senso della responsabilità e non c'è dramma.
Siamo davanti a una rappresentazione in cui l'attore, sicuro di non dover subire alcuna conseguenza, cerca solamente di stupire.
C'è in superficie un puro dandismo, sotto cui si cela una generalizzata sfiducia nei confronti della libera cooperazione sociale.
Il che è il prodotto della presunzione che il potere, in mano a una elite di uomini "perfettamente virtuosi", non debba essere limitato o sottoposto a controllo.
Lo si voglia o no, lo psicologismo utilitaristico propone una soluzione di tipo platonico.
È il governo degli uomini. E ciò esclude necessariamente il governo della legge.
Ben diversa è la posizione degli esponenti della Scuola Austriaca di economia.
Questi hanno tutti vissuto contro il proprio tempo.
Menger si è battuto contro il dirigismo economico e l'assolutismo politico di Gustav Schmoller.
Böhm-Bawerk ha formulato quella che non cesserà di essere la critica a Marx per eccellenza.
Mises si è trovato nel mezzo di quella tragica temperie sociale che ha prodotto due guerre mondiali, il totalitarismo e le forme più aggressive di interventismo economico.
In un'epoca in cui l'economista è divenuto un esperto nel campo della legislazione economica, che invariabilmente mira a impedire il funzionamento dell'economia di mercato, egli ha interpretato la propria professione come una sfida alla presunzione di quanti sono al potere.
È rimasto fedele al compito originario dell'economia politica, che è appunto nata come critica ai fallimenti dello Stato interventista, come cioè teoria della limitazione del potere pubblico.
Non ci sono soggetti portatori di una conoscenza privilegiata, legittimati a imporre agli altri il contenuto delle azioni.
Gli attori sono tutti "ignoranti e fallibili".
Di qui la necessità di restringere l'ambito della cooperazione coercitiva e di affidarsi alla cooperazione volontaria, che è un processo sociale di esplorazione dell'ignoto e di correzione degli errori.
Ciò capovolge la relazione fra Stato e cittadino.
Non sono più i governati a essere al servizio dei governanti, ma è l'apparato pubblico a dover soddisfare le esigenze della cooperazione sociale volontaria, basata sulla libertà individuale di scelta.
Ogni individuo agisce per il conseguimento dei propri fini.
Presta continuamente la propria opera agli altri e beneficia a sua volta dell'opera altrui.
Ossia: per procurarsi quanto necessario al raggiungimento dei propri fini, ognuno deve offrire qualcosa per il conseguimento dei fini della controparte.
Ciascuno agisce intenzionalmente per ottenere i mezzi di cui ha bisogno.
E, mediante quello che dà in cambio, coopera in maniera inintenzionale agli scopi perseguiti dagli altri.
La cooperazione sociale, cioè a dire la società, è il più grande mezzo utilizzato dall'individuo per raggiungere i propri fini.
Il che costituisce un gioco a somma positiva, che procura vantaggi a tutte le parti interessate.
Comentários