Dalla prefazione di Murray N. Rothbard a “Teoria e Storia”, di Ludwig von Mises, 1957, pag.40-46
È più probabile, piuttosto, che la mancanza di attenzione nei confronti di “Teoria e storia” abbia più che fare con il contenuto del suo messaggio filosofico.
Infatti mentre molte persone sono coscienti della lunga e isolata lotta che Ludwig von Mises intraprese contro lo statalismo e in favore del laissez faire, pochi si rendono conto che nella professione economica esiste una ben maggiore opposizione nei confronti della metodologia di Mises, piuttosto che verso le sue idee politiche.
Dopo tutto tra gli economisti di oggi l’adesione all’economia di mercato non è più rara (sebbene non con l’infallibile coerenza di Mises), ma pochi economisti sono disposti ad adottare questo metodo tipicamente austriaco che Mises ha sistematizzato e chiamato “prasseologia“.
Al cuore della prasseologia e del pensiero di Mises c’è il concetto con il quale inizia giustamente “Teoria e storia”: il dualismo metodologico, l’idea cruciale che gli esseri umani debbano essere considerati e analizzati in un modo e con una metodologia che differiscono radicalmente dallo studio delle pietre, dei pianeti, degli atomi e delle molecole.
Perché ?
Molto semplicemente perché l’essenza degli esseri umani è che essi agiscono, hanno obiettivi e scopi e tentano di raggiungerli.
Le pietre, gli atomi e i pianeti non hanno alcun obiettivo o preferenza: di conseguenza, non scelgono tra possibilità di azioni alternative.
Gli atomi e i pianeti si muovono o sono mossi; non possono scegliere, decidere i modi di azione o cambiare idea.
Gli uomini e le donne possono farlo e lo fanno continuamente.
Di conseguenza gli atomi e le pietre possono essere studiati, i loro movimenti disegnati su un grafico e le loro traiettorie tracciate e previste fin nei minimi dettagli, almeno in linea di principio.
Tutto ciò non può essere fatto con gli individui: ogni giorno, le persone imparano qualcosa, adottano nuovi valori e nuovi obiettivi e cambiano le loro idee; il comportamento delle persone non può essere messo in una griglia e previsto come si può fare per oggetti inanimati, o privi della capacità di apprendere e di scegliere. Possiamo allora comprendere perché la professione economica abbia opposto una tale enorme resistenza nei confronti dell’approccio di base di Ludwig von Mises.
Il fatto è che l’economia, come le altre scienze sociali del XX secolo, ha abbracciato il mito di ciò che Mises ha correttamente e sprezzantemente chiamato “scientismo“ - l’idea secondo la quale l’unico approccio veramente scientifico allo studio dell’uomo è l’imitazione dell’approccio delle scienze fisiche, e in particolare del suo ramo più prestigioso, la fisica.
Per diventare veramente “scientifica“, come la fisica e le altre scienze naturali, l’economia dovrebbe di conseguenza evitare di utilizzare concetti come scopi, obiettivi e apprendimento; dovrebbe abbandonare la mente dell’uomo e descrivere soltanto dei semplici avvenimenti.
Non dovrebbe parlare di cambiamenti di idea, perché dovrebbe affermare che gli eventi sono prevedibili dato che, come recita il motto originale della Società Econometrica, “la scienza è previsione“.
E per diventare una scienza “dura” o una vera scienza, l’economia dovrebbe trattare gli individui non come creature uniche, ciascuna con i propri obiettivi e le proprie scelte, ma come pezzi di “dati“ omogenei e quindi prevedibili.
Una delle ragioni per le quali la teoria economica ortodossa ha sempre avuto grandi difficoltà con il cruciale concetto di imprenditore è che ogni imprenditore è chiaramente e ovviamente unico; e l’economia neoclassica non può occuparsi dell’unicità degli individui.
Inoltre si pretende che la “vera“ scienza debba operare su una qualche variante di positivismo.
Così, in fisica, lo scienziato si trova di fronte a un numero di pezzi di eventi omogenei e uniformi che possono essere studiati per mezzo di costanti e di regolarità quantitative, ad esempio la velocità con la quale gli oggetti ricadono a terra.
Lo scienziato formula allora alcune ipotesi per spiegare classi di comportamenti o di movimenti e ne deduce varie proposizioni per mezzo delle quali può “verificare“ la sua teoria, confrontandola con l’effettiva realtà empirica, con questi piccoli eventi osservabili.
Nella vecchia variante positivista, lo scienziato “verifica“ la teoria tramite questo controllo empirico; nel più nichilistico positivismo di Karl Popper, egli può in questo modo soltanto “falsificare“ o “non falsificare” una teoria.
In ogni caso, le sue teorie devono sempre essere accettate in maniera provvisoria e
non possono mai essere, almeno logicamente, considerate come definitivamente vere; infatti egli potrebbe sempre trovare che altre e alternative teorie potrebbero essere in grado di spiegare un più vasto insieme di fatti e che alcuni fatti nuovi potrebbero andare contro una teoria o falsificarla.
Lo scienziato dovrebbe sempre, almeno apparentemente, dare prova di umiltà e di apertura mentale.
Ma una parte del genio di Ludwig von Mises fu di capire che la buona economia non aveva mai proceduto in questo modo e spiegare quindi le buone ragioni di questo fatto singolare.
C’è stata molta confusione inutile riguardo l’impiego piuttosto particolare del termine “a priori” da parte di Mises e i seguaci dei moderni metodi scientifici hanno potuto utilizzarlo per ignorare Mises, considerandolo un semplice mistico poco scientifico.
Mises aveva capito che coloro che studiano l’azione umana sono in una posizione allo stesso tempo migliore e peggiore, e in ogni caso certamente diversa, di quelli che studiano le scienze della natura.
Lo scienziato fisico osserva piccoli eventi omogenei e procede a tentoni per trovare e verificare teorie esplicative o causali per questi eventi empirici.
Ma per quanto riguarda la storia umana siamo già, in quanto esseri umani noi stessi, in grado di conoscere la causa degli eventi, vale a dire il fatto primordiale che gli esseri umani hanno scopi e obiettivi e agiscono per raggiungerli.
E questo fatto è conosciuto non in modo provvisorio e titubante, ma in maniera assoluta e incontestabile.
Un esempio che Mises amava utilizzare nelle sue lezioni per dimostrare la differenza fra due modi di accostarsi al comportamento umano era quello di osservare il comportamento della grande Stazione Centrale di New York nelle ore di punta.
Egli faceva notare che il comportamentista “oggettivo” o “veramente scientifico” osserverebbe gli eventi empirici: ad esempio le persone che corrono avanti indietro e senza scopo in alcuni prevedibili momenti del giorno.
E questo è tutto ciò che egli saprebbe.
Ma colui il quale studia realmente l’azione umana inizierebbe a partire dal fatto che ogni comportamento umano è intenzionale e scoprirebbe che lo scopo è quello di recarsi da casa al treno per andare a lavorare la mattina e compiere il tragitto inverso la sera, eccetera.
È evidente quale dei due farebbe maggiori scoperte e ne saprebbe di più sul comportamento umano e quindi quale dei due sarebbe il vero “scienziato“.
È a partire da questo assioma che si deduce tutta la teoria economica: l’economia studia le implicazioni logiche di questo fatto universale che è l’azione.
E poiché sappiamo con certezza che l’azione umana è intenzionale, abbiamo la stessa certezza riguardo le conclusioni di ogni fase della catena logica.
Non esiste alcuna necessità di “verificare” questa teoria, sempre che questo concetto possa ancora avere un qualche senso in questo contesto.
La realtà dell’azione umana intenzionale è “verificabile”?
È “empirica”?
Certamente sì, ma di certo non nel modo preciso o quantitativo al quale sono abituati coloro che scimmiottano la fisica.
L’empirismo è generale e qualitativo, derivando dall’essenza dell’esperienza umana: non ha nulla a che vedere con le statistiche e gli eventi storici.
Inoltre dipende dal fatto che siamo tutti esseri umani e possiamo dunque utilizzare questa conoscenza per applicarla ad altre persone della nostra specie.
L’assioma dell’azione intenzionale è ancora meno “falsificabile“.
È così ovvio, una volta che lo si è enunciato e che ci si è riflettuto sopra, che esso costituisce chiaramente l’essenza anche della nostra esperienza del mondo.
È positivo che la teoria economica non abbia bisogno di “verifiche“, poiché è impossibile verificarla in un qualche modo confrontando le sue proposizioni con eventi omogenei od uniformi.
Non esistono infatti eventi di questo tipo.
L’utilizzo di statistiche e di dati quantitativi può tentare di mascherare questo fatto, ma la loro apparente precisione è fondata soltanto su eventi storici che non sono per niente omogenei.
Ogni evento storico è il risultato unico e complesso di molti fattori causali.
Poiché è unico, non può essere utilizzato in una dimostrazione di tipo positivista e non può neppure essere combinato ad altri eventi, nella forma di correlazioni statistiche, per fornire un qualche risultato significativo.
Nell’analizzare i cicli economici, per esempio, non è legittimo considerare un ciclo come strettamente omogeneo a tutti gli altri, né di conseguenza aggiungere, moltiplicare, manipolare e correlare i dati.
Fare la media di due serie temporali, ad esempio, e affermare fieramente che la serie X mostra un anticipo medio di quattro mesi sulla serie Y a una certa fase del ciclo, non vuol dire quasi nulla.
Infatti:
a) può darsi che nessuna serie temporale particolare possieda un anticipo di quattro mesi e che i ritardi oscillino fortemente, come in effetti avviene
b) la media delle serie passate non ha alcuna attinenza con i dati futuri, che avranno le loro differenze, alla fine imprevedibili, rispetto ai cicli precedenti
Dal momento che demoliva il tentativo di utilizzare le statistiche per formulare una teoria, Ludwig von Mises è stato accusato di essere un teorico puro senza alcun interesse e rispetto per la storia.
Al contrario, ed è questo il tema centrale di “Teoria e storia“, sono i positivisti ed i comportamentisti che non rispettano la particolarità del fatto storico, tentando di comprimere questi eventi storici complessi nel letto di Procuste dei movimenti degli atomi o dei pianeti.
Nelle relazioni umane, lo stesso evento storico complesso deve essere spiegato per quanto possibile da diverse teorie; ma non può mai essere determinato in maniera completa o precisa da nessuna teoria.
Il fatto imbarazzante che le previsioni degli aspiranti profeti abbiano sempre dato risultati disastrosi, specialmente quelle che pretendono di avere una precisione quantitativa, è affrontato nell’economia mainstream con la determinazione di raffinare il modello ancora una volta e tentare di nuovo.
Ludwig von Mises, più di qualsiasi altro, riconosce che la libertà, di pensiero e di scelta, è l’essenza della condizione umana e comprende quindi che l’esigenza scientifica di un determinismo e di una completa prevedibilità è una ricerca dell’impossibile, ed è quindi profondamente non scientifica.
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